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Risposarsi dopo il divorzio: ecco cosa dice la legge

Risposarsi dopo il divorzio è possibile, ma ci sono leggi e tempistiche da osservare. Ecco un utile vademecum, con le cose che dovete sapere.

L’amore è possibile dopo il divorzio. Vissuto spesso come un fallimento personale, può capitare che, dopo qualche tempo, si incontri una persona nuova, capace di farci battere di nuovo il cuore. Così, spesso torna anche la voglia di un progetto di vita insieme. Risposarsi dopo il divorzio è possibile, certo, ma non subito. Di seguito vi parliamo di cosa dice la legge e di alcuni casi particolari, di matrimoni nuovi o… rinnovati!

Risposarsi dopo il divorzio: la legge

Il divorzio avviene quando gli sposi desiderano, congiuntamente o disgiuntamente, sciogliere il vincolo matrimoniale. Se la separazione è consensuale, si può procedere con il divorzio congiunto; se invece uno dei due coniugi non è d’accordo, il divorzio diventa giudiziale, con tempi molto lunghi di procedura. La recente legge sul divorzio breve ha sensibilmente ridotto i tempi di attesa: in questo caso, è possibile richiedere il divorzio dopo 6 mesi, in caso di separazione consensuale, o dopo 1 anno, in caso di separazione giudiziale.

Risposarsi dopo il divorzio: le tempistiche

Per contrarre un nuovo matrimonio post divorzio, occorre che la sentenza depositata in Tribunale, con la richiesta di divorzio, passi in giudicato, ovvero che nessuno dei due coniugi faccia ricorso, per impugnare la sentenza. Il che si traduce entro 30 giorni, se la sentenza è stata notificata, o entro 6 mesi se questa è stata pubblicata. Se entrambi i coniugi vogliono affrettare l’iter burocratico, possono presentarsi insieme in Tribunale, dichiarando di voler rinunciare a far ricorso. In questo modo, la sentenza passa subito in giudicato, ma occorre che venga annotata dal Cancelliere del Foro competente, prima di avere la possibilità di procedere a nuove nozze.

L’ art. 89 del Codice Civile

«Non può contrarre matrimonio la donna, se non dopo trecento giorni dallo scioglimento, dall’annullamento o dalla cessazione degli effetti civili del precedente matrimonio. Sono esclusi dal divieto i casi in cui lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili, del precedente matrimonio, siano stati pronunciati in base all’articolo 3, numero 2, lettere b) ed f), della legge 1 dicembre 1970, n. 898. Sono esclusi anche i casi in cui il matrimonio sia stato dichiarato nullo per impotenza, anche soltanto a generare, di uno dei coniugi.

Il tribunale con decreto emesso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, può autorizzare il matrimonio, quando è inequivocabilmente escluso lo stato di gravidanza o se risulta da sentenza passata in giudicato, che il marito non ha convissuto con la moglie nei trecento giorni precedenti lo scioglimento, l’annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Si applicano le disposizioni dei commi quarto, quinto e sesto dell’articolo 84 e del comma quinto dell’articolo 87. Il divieto cessa dal giorno in cui la gravidanza è terminata». Così recita l’art. 89 del Codice Civile.

Nessuna discriminazione: l’art. 89 sopra citato vuole tutelare l’eventuale prole.

Mentre per un uomo, infatti, l’iter da seguire per convolare a seconde nozze è quello descritto nel paragrafo precedente, per una donna deve trascorrere il cosiddetto lutto vedovile, ovvero non meno di 300 giorni, da aggiungere a quelli necessari per far diventare la sentenza di divorzio inoppugnabile o annotata.
Tuttavia, il codice civile prevede alcune eccezioni, che consentirebbero alla donna di risposarsi prima dei fatidici 300 giorni:

  • quando il divorzio è stato pronunciato, a seguito di separazione consensuale o giudiziale;
  • se è maturata una separazione di almeno tre anni, tra i coniugi;
  • quando il matrimonio è considerato nullo, per impotenza di generare, dell’uomo o della donna, o quando il matrimonio non è stato consumato.

Risposarsi dopo il divorzio, con la stessa persona

Succede sempre più spesso: magari si è divorziato per un momento di crisi passeggera (come la rivelazione di un tradimento), che lì per lì non riuscite a digerire. Ma poi con il passare del tempo, vi rendete conto di andare ancora d’accordo e di amarvi ancora, tanto da volervi risposare. Tante coppie decidono di dare al proprio amore una seconda chance, che spesso, con le seconde nozze, si dimostra migliorata e rafforzata. Certo, l’iter da rispettare per procedere a nuove nozze è quello sopra descritto, ma conoscendovi già, sarà più facile affrontare insieme l’attesa di una nuova felicità.

Risposarsi in chiesa dopo il divorzio

Il matrimonio religioso è definito concordatario, in quanto in seguito a un accordo tra Chiesa e Stato del 1942, si è stabilito che il matrimonio contratto in chiesa è valido a tutti gli effetti anche come matrimonio civile. Il parroco quindi diventa un ufficiale dello Stato e verificando il consenso di entrambi gli sposi, redige l’atto di matrimonio, dopo aver letto gli articoli del Codice Civile inerenti all’unione dei coniugi. Il matrimonio religioso per la Chiesa è un sacramento, quindi ritenuto un vincolo indissolubile: se due chiedono il divorzio, sono gli effetti civili a cessare, ma per la Chiesa l’unione continua a permanere.
Ecco perché la coppia non può contrarre nuovamente matrimonio in chiesa, a meno che la Sacra Rota non dichiari nulla l’unione.

Alcune delle cause più comuni previste dal Diritto Canonico:

  1. incapacità di intendere e di volere, di uno dei due contraenti;
  2. dolo, ovvero l’inganno da parte di uno dei due contraenti (per esempio, omettendo dei particolari che avrebbero potuto far saltare le nozze);
  3. violenza, da parte di uno dei contraenti sull’altro coniuge;
  4. impotenza, ovvero l’incapacità di compiere l’atto sessuale, che però, per essere accettata, dev’essere una condizione preesistente al matrimonio, o perpetua.

Foto copertina di cottonbro

Francesca Favotto
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Francesca Favotto

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